Accetto dove oggi mi trovo. Se guardo indietro scorgo a malapena la strada che in fondo in fondo si riempie di nebbia e magari torna, ogni tanto, nei sogni elaborati dall’inconscio che annega nei ricordi.
I ricordi sono struggenti, a volte dal sapore dolce come i fiori di glicine arricchiti di latte condensato e poi con quel retrogusto di pianto consolatorio che vuoi continui all’infinito.
Va bene per un giorno, un breve periodo d’accoglienza del dolore, per poi ricominciare la scala della tua evoluzione necessaria.
Se il pianto continua, diventa un mare dove anneghi e nessuna mano può tirarti fuori.
Un mare dove presto morirai e, se non stavi cercando un modo per farla finita, questo modo di esistere è la cosa più atroce che potesse capitarti, e si chiama autocommiserazione. Quell’appicicaticcia melassa che gli altri riescono a percepire abbastanza da allontanarsi da te il più possibile.
Si, potrebbero anche accoglierti, ma non ti farebbe bene in questo caso disperato:un perfetto ordine divino impedisce l’aiuto a chi “si piange addosso).
Allora, risvegliati dal dolore e guarda a occhi chiusi profondamente dentro di te, si, ancora una volta trovi lì ogni motivo del tuo dolore e torna in quel luogo segreto ogni volta che sarà necessario, finché un altro clic non accenda la tua consapevolezza e sarai in grado di capire che cosa, nel passato, aveva causato tanto dolore.
Il dolore profondo, come la malattia fisica, ha un valore di guarigione perché ha in sé la rinascita.
Accettalo, prova a perdonare o perdonarti, finché sentirai una pace che invade tutto il tuo essere e sarai pronto.
Vedrai che un’altra porta può essere aperta o chissà, anche aperta nuovamente.